23/08/2012 - “Un recupero possibile, non un evento eccezionale”. Questa la definizione che l'arch. Oriano Di Zio ha dato del progetto di recupero e 'ri-destinazione' turistica dell’antico borgo medievale di Santo Stefano di Sessanio in provincia de l’Aquila.
Daniele Khilgren, presidente di Sextantio Albergo Diffuso, ha trasformato il borgo in albergo diffuso la cui reception è ubicata in una grotta sita accanto a quella che una volta era una porcilaia, mantenendo l’identità originaria degli spazi.
“Il progetto si declina nel rapporto di reciproca integrità tra territorio e costruito storico, tutelando un paesaggio, quello dei borghi incastellati medioevali, così caratteristico dell’Italia Appenninica ma così fragile per le invasive urbanizzazioni dal dopoguerra ad oggi che sono state sempre in drammatica distonia col patrimonio storico originario [...]. Questo inedito approccio di Restauro Conservativo del Patrimonio Storico Minore ha riconsegnato al nostro Paese luoghi e borghi che stavano definitivamente deperendo, sotto il peso del tempo e dell’incuria o di speculazioni edilizie laddove era in corso una ridestinazione turistica di questi borghi storici. Oggi questo approccio di tutela del paesaggio e del patrimonio storico, oltre al suo valore culturale, e l’esempio di Santo Stefano di Sessanio è emblematico, sono diventati progetti trainanti l’economia dell’intero territorio. In un’Italia nel pieno di una crisi globale e nell’Abruzzo aquilano colpito dal terremoto del 2009 un nuovo modello di sviluppo, curiosamente basato su un progetto culturale in assoluta autonomia, ha portato a risultati logaritmici sotto molteplici variabili, una tra tutte le attività alberghiere di terzi passate da una a 15 dall’inizio del progetto, senza costruire un singolo metro quadrato ex-novo e facendo terminare quell’abbandono della montagna e invertendo quella scesa a valle in ricerca del lavoro che durava da quasi due secoli”.
Il dialogo con l’identità è avvenuto da una parte tramite un approccio estremamente conservativo e di riproposizione degli elementi storicamente esistenti, laddove le nuove esigenze del vivere hanno richiesto elementi e soluzioni che storicamente non esistevano, sono stati scelti interventi che comunque potessero dialogare con questa identità. La scelta più ricorrente e caratterizzante il progetto è l’uso del materiale di recupero autoctono che avviene spesso in maniera “filologica” secondo il loro uso storico, talora, al di fuori dall’originale utilizzo, funzione e contesto per finalità pragmatiche. In quest’ultimo caso l’identità viene riproposta in termini maggiormente simbolici, per intime assonanze non riducibili a facili algoritmi formali ma, nelle scelte specifiche, comprensibile mediante intuizione e partecipazione empatica.
Il progetto di recupero ha seguito linee guida volte alla conservazione dell’originaria cubatura, del numero e delle dimensioni delle aperture (porte e finestre), alla conservazione delle divisioni interne ed eventualmente della destinazioni d’uso dei vani nell’originaria organizzazione domestica e, superate le esigenze strutturali, all'uso esclusivo di materiale architettonico di recupero degli immobili o proveniente dalla stessa area geografica.
Per quanto riguarda gli interni e l’arredo è stato considerato prioritario anche qui la riproposizione degli elementi originari anche perché questi borghi nascono e muoiono con un'unica civiltà agropastorale che porta con sé una sua unitaria tradizione di mobili senza tempo e fuori dalla storia: letti, madie, cassepanche, arche,...
Laddove vi è stata la necessità di inserire elementi storicamente non presenti, dai comodini, agli armadi, rari nelle dimore rurali, “al posto della tentazione tipica di 'staccare' e ricorrere ad elementi contemporanei o di design, peccato originale di tanta progettualità architettonica, sono stati creati artigianalmente gli elementi con materiali di recupero di uso comune che intimamente colloquino nella forma, nel colore, nella patina, nel tatto e negli odori con questa identità del luogo”.
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