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Arsenale di Venezia, HBB - Harbour Brain Building
Acciaio-corten e tecnologia nel progetto di C+S Cappai + Segantini
Autore: rossella calabrese
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18/10/2011 – Venezia: è firmato dallo studio trevigiano C+S Cappai + Segantini l’“HBB - Harbour Brain Building”, Centro di controllo del traffico marittimo commissionato dalla società Thetis, in seguito all’attuazione del progetto MOSE.
 
“Il progetto di HBB intercetta l’atmosfera dell’Arsenale di Venezia: una sequenza di spazi vuoti occupati temporaneamente dagli oggetti (tra questi le navi) che vi dovevano essere costruiti o riparati, o ancora ospitati per essere dimenticati a seguito di progressi tecnologici sempre più incalzanti che si sono dimenticati che il vuoto è la risorsa più importante di cui disponiamo per organizzare lo spazio. A parte alcuni operatori e una sala riunioni, i veri abitanti di questo edificio erano i terminali dei computer che avrebbero gestito il traffico marittimo all’apertura e alla chiusura dei porti-canale”, spiegano i progettisti.

Un relitto in acciaio-corten viene disegnato all’interno dello spazio quadrato originario del capannone arsenalizio esistente, ripristinato grazie alla demolizione delle partizioni interne. Liberato dalle superfetazioni e concentrando gli elementi tecnologici e dei terminali impiantistici al piano interrato, lo spazio vuoto ha iniziato a raccontare la storia dei suoi confini: quella delle murature che sono state trattate con uno strato impalpabile di intonaco ad andamento capace di catturare la luce nelle molteplici irregolarità delle tessiture dei mattoni; quella della copertura in capriate lignee con l’ordine triplo delle travi secondarie, dei travetti e delle tavelle in cotto.
 
Su questo sistema i nuovi elementi sono pareti e porzioni di copertura in vetro. Le pareti vetrate sono disegnate da serramenti di sezione esilissima, capaci di suddividere lo spazio mantenendo la percezione dell’intero ma arricchendo la sua complessità dei riflessi delle materie che si stratificano e rimbalzano sulle superfici.
 
Lo spazio dell’addizione al capannone originario, preservata nel suo volume è diventata una lanterna luminosa contemporanea e lo strumento capace di generare l’energia necessaria a far funzionare il complesso senza dispendio energetico.
La copertura in vetro è disegnata da una delle più sofisticate tecnologie per la produzione dell’energia, le celle fotovoltaiche (per la prima volta utilizzate in un progetto di restauro), senza rinunciare a quel gioco di dialogo con l’atmosfera esistente dello spazio dell’Arsenale e dimostrando che anche in un progetto di restauro l’edificio può essere realizzato con gli strumenti più avanzati della sostenibilità ambientale.
 
La questione è lavorare con la tecnologia in modo che essa si fonda con la memoria di cui abbiamo parlato, che ne diventi uno strato ulteriore. In questo senso non esiste una differenza vera del progetto in relazione al paesaggio o all’esistente, il fine è la sua capacità di melting, di diventare un tutt’uno, di fondersi con la materia, i colori, la luce, gli strati della memoria.
 
In questo caso la tessitura delle pellicole fotovoltaiche gioca con la luce e la spezza in piccole parti come le tesserine dei pavimenti in terrazzo  o come i vetri piombati delle vetrate dei palazzi. E’ produzione di energia ma anche brise-soleil che si fonde con la copertura e intesse ombre sempre variabili sulle murature e vetrate interne. 24 moduli fotovoltaici producono una potenza di picco massima di circa 4,8 kWp.
 
Per la climatizzazione degli ambienti al piano terra si è optato per un impianto del tipo centralizzato ad aria con sistema di produzione a pompa di calore con scambiatori acqua/acqua abbinati a un sistema a sonde geotermiche (spinte ciascuna alla profondità di circa 60 m).
 
Il vantaggio energetico, rispetto all’impiego di pompe di calore ad aria che risentono della variabilità della temperatura esterna, risiede nel fatto che il sottosuolo mantiene una temperatura sostanzialmente costante durante tutto l’anno e questo permette alle macchine di lavorare nelle migliori condizioni.
 
Il progetto si è configurato anche come prototipo sperimentale per la ricerca tecnologica sostenibile applicata al restauro.
 
L’utilizzo di sonde geotermiche nel centro storico veneziano trova in questa applicazione la prima esperienza realizzata: le peculiari caratteristiche dell’edificio hanno perciò suggerito al produttore dell’impianto l’analisi delle performance termiche attraverso l’installazione di strumentazione aggiuntiva in grado di monitorare i carichi energetici e con ciò acquisire dati utili per la progettazione di sistemi analoghi e per la taratura dei codici di calcolo usualmente impiegati nel dimensionamento.
 
Le scelte per il sistema di distribuzione hanno consentito di liberare gli spazi da elementi tecnologici. Il trattamento dell’aria è affidato a due piccole centrali ospitate nel piano interrato. Le canalizzazioni di distribuzione sono al di sotto del pavimento galleggiante; la mandata dell’aria è realizzata a pavimento attraverso di griglie disposte lungo le pareti perimetrali, e la ripresa attraverso griglie appositamente realizzate sulla parte sommitale del rivestimento in corten del vano tecnologico.
 
Per la sala server localizzata nel vano interrato, in relazione requisiti stringenti in termini di condizioni climatiche legati al corretto funzionamento degli apparati che vi vengono ospitati (22 °C e 45% di umidità), è stato invece previsto un sistema di climatizzazione dedicato. Questo è stato realizzato mediante appositi apparati close control, ad elevata potenza specifica, denominati unità CRAC, con corridoi caldi e freddi di distribuzione dell’aria attraverso il pavimento rialzato. La macchina è collegata a un gruppo per la produzione di acqua refrigerata condensato ad acqua.
 
A regime, gli impianti dell’edificio 62 saranno collegati al sistema centralizzato a servizio di un’ampia parte dell’Arsenale nord, tuttora in fase di realizzazione.
 
Il sistema sarà costituito da un impianto di cogenerazione centralizzato per la produzione di energia termica ed elettrica abbinato a un sistema di teleriscaldamento/raffreddamento basato su un anello d’acqua e pompe di calore al fine di recuperare energia geotermica dalla Laguna di Venezia. Questo sistema consentirà tra l’altro di recuperare l’energia termica dissipata dall’impianto di climatizzazione della sala server nel periodo invernale.
 

  Scheda progetto: HBB. HARBOUR BRAIN BUILDING
Pietro Savorelli
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