© Lucky Red
21/10/2025 - Nel nuovo film di Francesco Sossai, Le città di pianura (Lucky Red), l’architettura diventa racconto e rivelazione. Sossai, regista bellunese classe 1989, noto per il suo sguardo poetico sui paesaggi urbani e periferici, esplora in questo film le tensioni tra città e campagna, memoria e contemporaneità.
Un gruppo di uomini, guidato da Giulio, giovane studente di architettura, si muove lungo le strade del Nord Italia, tra bar di provincia, zone industriali abbandonate e campagne silenziose. Lo seguono Doriano e Carlobianchi, due uomini adulti, compagni di viaggio quasi inconsapevoli, che vivono il percorso più come esperienza esistenziale che come scoperta architettonica. È un viaggio che attraversa le pianure venete, ma anche una condizione più universale: quella di una periferia che non appartiene solo a un luogo, bensì a uno stato d’animo.
Sossai trasforma questi spazi marginali in archetipi di un’Italia diffusa, dove città e campagna si fondono. L’attenzione ai dettagli quotidiani, alle strade di provincia e ai non-luoghi richiama la poetica di Luigi Ghirri, che negli anni ’70 e ’80 ha raccontato con sensibilità le periferie italiane. Le sue immagini, spesso prive di figure umane ma mai prive dell’intervento dell’uomo, restituiscono alla quotidianità una bellezza contemplativa.
L’ultima tappa del film è la Tomba Brion a San Vito d’Altivole, capolavoro di Carlo Scarpa e simbolo assoluto di una sintesi tra materia, memoria e spiritualità. La sequenza finale, ambientata nel memoriale, trasforma l’opera in un vero e proprio dispositivo visivo: le geometrie pure, le aperture circolari, l’acqua e la luce diventano parte del linguaggio filmico. Qui, il viaggio dei protagonisti si chiude in una dimensione sospesa, dove il confine tra realtà e visione si dissolve.
La Tomba Brion appare come un approdo, una soglia che unisce il costruito e il naturale, la finitezza dell’uomo e la continuità dello spazio.
L’opera di Carlo Scarpa
Progettata tra il 1969 e il 1978 per la famiglia Brion, la Tomba Brion è un complesso funerario concepito come un giardino contemplativo. Scarpa intreccia cemento armato, acqua e vegetazione in una sequenza di percorsi e simboli, in cui il visitatore non osserva semplicemente, ma attraversa. I celebri “cerchi intrecciati” – simbolo di amore e unione – racchiudono l’essenza della sua poetica: un’architettura che dialoga con la luce, il tempo e la spiritualità. Scarpa stesso è sepolto in un angolo defilato del complesso, gesto coerente con la sua idea di discrezione e continuità.
Architettura come linguaggio visivo
Nel film, l’architettura diventa uno strumento di narrazione: le periferie, i non-luoghi e gli spazi dimenticati sono trattati come organismi viventi. La camera di Sossai osserva le geometrie minime della realtà quotidiana, restituendo alla città diffusa una dimensione estetica e affettiva. L’incontro con Scarpa non è solo scenografico, ma emotivo: la Tomba Brion non chiude la storia, la eleva, come se l’architettura potesse ancora offrire una forma di redenzione.
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