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Riaprono le fabbriche. Intervista con Roberto Gavazzi, CEO di Boffi e De Padova
"In Italia c’è stata una parziale perdita di fiducia. È pertanto importante adesso riprendere le attività, con un operato che sia ricondotto a delle regole restringenti per la sicurezza massima"
Autore: roberta dragone
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Roberto Gavazzi, CEO di Boffi e De Padova - Ph. Tommaso Sartori Roberto Gavazzi, CEO di Boffi e De Padova - Ph. Tommaso Sartori
29/04/2020 - Dopo cinque settimane di chiusura, il mondo dell’arredo e del design riprende le attività produttive. A dare il via ufficiale è il DPCM “Fase 2” del 26 aprile scorso, che sancisce la tanto attesa riapertura delle fabbriche.
Numerosissime le aziende pronte subito a ripartire, assicurando il pieno rispetto dei protocolli di sicurezza. Tra queste Boffi e De Padova, tra l’altro tra le nove aziende firmatarie del Design Manifesto, la lettera aperta al governo divulgata il 9 aprile scorso con cui si denunciava l’urgente necessità di una ripresa delle attività produttive.

Oggi finalmente il via libera, ma anche la sensazione di opportunità mancate, unita al desiderio e alla necessità di ripartire nel pieno rispetto delle regole. Nella consapevolezza che non sarà semplice. Riportiamo l’intervista con Roberto Gavazzi, CEO di Boffi e De Padova, che ci sembra tradire un sentire comune tra le aziende del settore.
 
Con il Design Manifesto del 9 aprile Boffi e De Padova, insieme ad altri sette brand italiani dell’arredo, chiedevano al governo di garantire la ripresa produttiva per evitare che “una grandissima tragedia umana e sociale si trasformasse in una conseguente tragedia industriale ed economica”. Quanto inciderà questo ritardo di 2 settimane rispetto alla vostra richiesta? E quali sono oggi le prospettive per il nostro sistema industriale ed economico?

In Italia abbiamo chiuso quando altri paesi hanno mantenuto le attività produttive. E questo ha consentito a molti concorrenti europei, come ad esempio in Germania, di proseguire con le attività di produzione e consegna, con una consequenziale maggiore credibilità delle aziende. Queste aziende hanno avuto rispetto a noi enormi vantaggi economici. In questo periodo abbiamo continuamente ricevuto domande del tipo ‘Quando riaprirete? Riaprirete?’ Ne è quindi derivata non solo una oggettiva perdita di ordini, ma anche una parziale perdita di fiducia.
 
Non saprei dire se queste ulteriori due settimane di blocco abbiano fatto la differenza. Di sicuro quello che è successo nelle ultime settimane ha colpito in generale tutti i settori, dall’arredo alla moda al turismo. Abbiamo infatti assistito ad una inevitabile caduta dei consumi, con consequenziale penalizzazione dei fatturati, per tutte le aziende. Si tratta di un fenomeno pesante, che non potrà non penalizzare tutti. È pertanto importante adesso riprendere le attività, con un operato che sia ricondotto a delle regole restringenti per la sicurezza massima.
 
Non riaprire avrebbe significato danneggiare pesantemente l’economia delle aziende, mettendo ulteriormente alla prova il tessuto produttivo italiano, e rischiando di comprometterne in alcuni casi anche la sopravvivenza, come per le aziende più piccole. Per noi adesso è importante la ripresa, per poter anche sostenere tutti i nostri fornitori che, con i negozi ancora chiusi a fronte di affitti e stipendi da sostenere, continuano a soffrire.

Tornare a produrre e uscire di casa abituati a convivere con il virus sarà un primo step. Il secondo step sarà la cura. Lo spazio intermedio è quello che ci dà l’incertezza. Fare oggi previsioni di ogni tipo è difficile.
 
Per i negozi bisognerà attendere fino al 18 maggio. Quali conseguenze porterà a suo avviso questa ulteriore proroga?

Non siamo esperti di questa epidemia e di come contrastarla, ma credo si possa fare distinzione tra negozi e negozi. Un negozio di arredamento ha sicuramente un’affluenza di visitatori inferiore rispetto ad una libreria. Si potrebbe pertanto pensare ad una apertura anticipata per tutti i negozi “a basso rischio”. Questa decisione rappresenta un elemento di penalizzazione molto importante per l’economia: un rischio di contagio basso contro un rischio economico alto.

Che percezione ha in termini di domanda internazionale? Ci sono paesi che stanno soffrendo più di altri? Se si, quali?

La domanda internazionale è senza dubbio più forte di quella italiana. Ma il disastro c’è stato dappertutto, anche se non tutti i paesi sono stati colpiti allo stesso modo. Oggi i paesi che destano maggiore preoccupazione sono quelli in cui il problema è stato meno arginato, dove sembra che la situazione sia un po’ sfuggita dal controllo, come Stati Uniti e UK. Altri, come la Cina, l’hanno sicuramente controllata meglio.

Il 17 aprile scorso la Regione Veneto – che è riuscita ad uscire piuttosto celermente dall’emergenza iniziale – ha messo a punto un piano per riaprire le fabbriche in sicurezza attraverso un apposito “manuale della riapertura” e la nomina di un Covid-manager in ogni azienda. Il progetto pilota prenderà vita in venti aziende – con il coinvolgimento dei medici del lavoro per raccogliere indicazioni epidemiologiche, organizzative e di processo – allo scopo di monitorare la situazione. A suo avviso è corretto che ogni Regione si organizzi in autonomia, magari sul modello del Veneto, o sarebbe più corretto che fosse il governo a farsi promotore di un progetto che assicuri lo stesso supporto in tutte le fabbriche italiane, indipendentemente dalle iniziative delle singole aziende? 

Premettendo che ognuno deve fare il meglio possibile, ritengo sia auspicabile un modello unico nazionale, che magari colga i suggerimenti regionali che hanno su alcuni temi fornito una risposta intelligente.
In realtà ogni azienda ha già un responsabile in tema di sicurezza, per cui non servirebbe un Covid-manager, ma una persona che prenda in carico problematiche di sicurezza generale, e non solo relative a questa pandemia. Su questo eravamo tutti ben orientati già prima della chiusura. Non abbiamo infatti mai avuto nemmeno un caso di contagio. Certo, è stata anche fortuna, ma non solo.

Se il Governo fornisse su questo una normativa precisa sarebbe anche meglio. Ma l’importante è che sia precisa. Ciò che non è stato ad esempio in tema di obbligatorietà delle mascherine. Noi abbiamo da subito reso obbligatorio l’utilizzo delle mascherine, anche quando queste non erano state ancora dichiarate obbligatorie.
 
Strategie per il futuro. In che modo la pandemia avrà modificato l’approccio dell’azienda al mercato? per esempio come cambieranno i vostri rapporti con progettisti e rivenditori? L’e-commerce è un tema?

Sicuramente dovremo guardare il mondo con occhi diversi. La gente avrà ancora paura di entrare nei negozi. A meno che non si trovi un vaccino o una cura che abbatta ulteriormente il rischio di mortalità da covid19. In tal caso il mondo potrà riavvicinarsi a quello di prima. Ma, se così non fosse, sarà tutto molto diverso. Il fisico perderà molto, mentre prenderà sempre più piede il digitale. Toccare un prodotto o progettare una cucina senza entrare in un negozio sarà più difficile. Dovremo allora necessariamente ricorrere al digitale, con l’utilizzo di Realtà Virtuale e Aumentata. Anche e-commerce. Ma dovremo adottare soluzioni digitali sempre più sofisticate.

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