07/05/2019 - La devastazione dei boschi di Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Lombardia a seguito della tempesta Vaia di ottobre 2018 ha trasformato il paesaggio e ha messo a nudo ancora una volta la fragilità del territorio. Gli effetti – violenti ed estremi – del cambiamento climatico hanno lasciato una ferita aperta. È possibile trasformare uno sfregio del nostro paesaggio in un segno e un’esperienza che spinga gli uomini ad un nuovo rapporto con la natura, ricordando che un albero non è mai solo un albero e che lo sviluppo e la salvaguardia del territorio sono cultura?
L’Orto botanico di Padova, con la collaborazione di Arte Sella, anch’essa duramente colpita dalla tempesta Vaia, ha realizzato un’installazione artistica con il recupero di tronchi e alberi di specie diverse provenienti dai boschi delle foreste abbattute delle province di Belluno e di Trento. L’opera porta la firma dell’architetto Michele De Lucchi, che ha donato il progetto della sua installazione Radici al vento, testa nella terra.
L’opera ricompone con essenze diverse - abete rosso, faggio, larice, abete bianco, frassino, betulla, tiglio e nocciolo - la figura di un albero che con il suo tronco, i suoi rami e le sue radici vola sospeso nell’aria, sopra a uno specchio d’acqua che rimanda al mare maldestramente surriscaldato dagli effetti dell’inquinamento atmosferico.
“L’opera conserva la memoria di un ribaltamento: le radici hanno ceduto alle folate della tempesta. Si sono sollevate, trascinate dalla leva di fusto e rami, e si sono esposte all’aria, fuori dalla terra, come non le avevamo mai viste”, spiega De Lucchi.
Dall’incastro di questi “resti” è nato un albero totem che, simbolicamente, ridà dignità e forma a quei 14 milioni di alberi, molti dei quali testimoniavano secoli di storia del mondo, abbattuti nel giro di poche ore.
E’ un memento che l’Orto Botanico patavino, il più antico al mondo e Patrimonio dell’Umanità, rivolge ai visitatori. Non a caso proprio mentre i più giovani manifestano in tutta Europa a difesa del loro pianeta. Per ricordare che ogni albero è vita e speranza di futuro.
Il mosaico di legni con cui De Lucchi ha creato l’opera stride con il rigoglio delle piante dell’Arboreto.
L’Albero degli Alberi provoca un colpo al cuore. “Lo stesso che si prova – sottolinea De Lucchi – nel vedere i boschi abbattuti e il paesaggio violentato delle nostre valli. Racconta la fragilità della Natura, che è anche la fragilità dell’uomo”.
L’Albero degli Alberi resterà all’Orto Botanico sino al 5 gennaio 2020. E, come è naturale, gradualmente venti, piogge e sole modificheranno la sua forma, perderà rami e radici. Resterà invece forte il simbolo.
È di notte che l’Albero degli Alberi sembra prendere vigore. I suoi rami rinsecchiti e ormai sterili, illuminati dalla luna, sembrano riprendere vita. A simboleggiare la luce della speranza e della fede nella Natura e nel suo infinito, salvifico potere di rigenerazione.
Ma se riflettere e indignarsi è giusto, tuttavia non basta. Ciò che l’Orto Botanico suggerisce ai suoi visitatori è un impegno morale e materiale a ricostruire ciò che è andato perduto.
Chi lo vorrà potrà offrire anche un solo euro che andrà a finanziare un preciso progetto di rigenerazione naturale. Riceverà in cambio un frammento di uno dei tanti alberi che c’erano e non ci sono più.
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