18/09/2013 – Dopo il documentario Frank Gehry creatore di sogni di Sydney Pollack (2006) e My Architect di Nathaniel Kahn (2003) - figlio di Louis Kahn - è in arrivo REM, il documentario su Rem Koolhaas scritto e diretto dal figlio Tomas Koolhaas.
Difficile riassumere in un documentario l'opera, le idee e il pensiero di un architetto chiave nel panorama dell'architettura contemporanea come Koolhaas che, con le sue opere come il CCTV building a Beijing, De Rotterdam complex e la Casa da Musica a Porto, ha mutato profondamente le dinamiche urbane di aree complesse della città.
La redazione di Archiportale ha avuto l'opportunità di intervistare Tomas Koolhaas e di riflettere con lui sul ruolo dell'architettura e su come poter esaltare l'immagine di un edificio e il suo dialogare con la città e le persone che ne usufruiscono.
Come è nata l'idea di filmare il lavoro di tuo padre?
L'idea è nata molto tempo fa, prima di iniziare a lavorarci su. Il concept si è sviluppato fin da bambino visitando gli edifici di Rem e assistendo a molte storie e aneddoti accaduti in quei luoghi.
Sono sempre stato molto interessato dall'interazione dell'edificio con l'intorno, più che non alla mera estetica. Crescendo professionalmente come filmaker, mi sono reso conto che non ci fosse nessun film che incorporasse gli aspetti che da sempre mi avevano affascinato e cosi ho deciso di girarne uno.
Qual è l'obiettivo del documentario?
Nella pagina web del film ho scritto “ […] l'esplorazione di cosa significa architettura sia per chi la abita che per chi la crea”.
Non credo che si possa sintetizzare il concetto meglio di così. Invece di concentrarsi solamente sulle scelte progettuali e sul perché sia stato fatto, ho cercato di esplorare come le scelte effettuate influenzino la vita di chi ci vive.
Quanto tuo padre ha influenzato il tuo modo di osservare la città e l'architettura?
Rem non guarda ai progetti di architettura con la “tradizionale” forma mentis di un architetto. Lui prende in prestito diversi concept, termini ed idee dall'economia, sociologia, politica ecc...
Credo che se qualcosa mi abbia influenzato sia la maniera poliedrica di vedere l'architettura e la città. Ho la tendenza ad essere interessato più al punto di vista sociologico, come si vede nel film, ma allo stesso tempo ho cercato di esplorare la dimensione più “architettonica”.
Ti sei inspirato al lavoro di qualche regista in particolare che ha lavorato sulla relazione tra architettura e cinema?
No, ci sono sicuramente molti registi che hanno usato l'architettura in maniera "geniale": Hitchcock, Ridley Scott etc... ma per questo film mi sono lasciato inspirare solo dall'architettura in sé, volendo creare qualcosa che non prendesse spunto da alcun registro stilistico precedentemente utilizzato.
Ho cercato il più possibile di realizzare qualcosa di diverso rispetto a ciò che già esiste, in particolare nel mondo dei documentari di architettura.
Ci racconti una aneddoto riguardo l'esperienza di lavoro con tuo padre?
Uno dei ricordi che mi porterò di questa esperienza è stata l'intervista con il senza tetto nella Seattle Library. La sua esperienza nell'edificio ha mostrato quanto drammaticamente le scelte dell'architetto possano influenzare la vita di molte persone. In particolare la volontà di inserire una stanza di strumenti musicali, di cui anche i senza tetto possano usufruire, lo ha fatto letteralmente “sentire un essere umano” come lui mi ha raccontato.
Cosa significa architettura per te?
Architettura significa molto per chiunque di noi, sia che siamo progettisti o semplici fruitori. Le scelte progettuali sembrano fatte in maniera astratta e distanti da chi vivrà l'edificio, ma quasi ogni scelta ha effetti nel modo in cui interagiamo con l'ambiente che ci circonda e addirittura tra le relazioni che si creano.
|