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| STADI. Architettura e mito |
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MAXXI, ROMA, dal 30/05/2025 al 26/10/2025
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a cura di Manuel Orazi, Fabio Salomoni, Moira Valeri
STADI. Architettura e mito è l'inedito sguardo che il MAXXI, attraverso il suo Dipartimento di Architettura e Design contemporaneo diretto da Lorenza Baroncelli, rivolge agli stadi come strutture antropiche e architettoniche, simboli di passioni e cambiamenti sociali, in grado di raccontare la storia delle città attraverso cultura e identità collettiva. Manuel Orazi, Fabio Salomoni e Moira Valeri, curatori della mostra, propongono una lettura di questo spazio come oggetto culturale complesso, capace di riflettere le molteplici dimensioni che lo caratterizzano. Lo stadio diventa così un osservatorio privilegiato — un vero e proprio caleidoscopio — attraverso il quale osservare una pluralità di dimensioni di rilevanza architettonica, urbanistica, economica, socio-antropologica, politica e artistica. Un contenitore di significati, contraddizioni e simboli o, per dirla con le parole dell’antropologo Marc Augé, “un luogo di senso, di controsenso e di non-senso, un simbolo di speranza, di errore o di orrore” . La mostra Stadi. Architettura e mito – la prima grande esposizione in Italia dedicata a questa tipologia architettonica – ne ripercorre la storia, dalla pietra antica del Panathinaiko di Atene ai capolavori contemporanei della tecnica e del design. Cattedrali laiche del nostro tempo, oggi queste architetture monumentali sono molto più che arene sportive: sono centri vitali, specchi delle città, luoghi di rito collettivo, simboli di trasformazione urbana e culturale, dove la vita quotidiana e l’eccezionalità si incontrano. Un viaggio lungo i secoli che attraversa diversi continenti mettendo in luce l’evoluzione di queste strutture, da semplici spazi per la competizione sportiva a scenari polifunzionali capaci di ospitare concerti, cerimonie religiose, raduni di massa, eventi politici, fiere e performance artistiche, fino a diventare strumento di city branding e nuova meta del turismo globale. Il percorso espositivo dedica inoltre un focus speciale agli stadi italiani, alla loro diffusione, qualità, al dibattito acceso sulle prospettive di rigenerazione. Non solo un omaggio a un simbolo dell’immaginario collettivo, ma un’occasione per riflettere criticamente su aspetti profondi e spesso trascurati delle nostre città e società.
voci
Emanuela Bruni, Presidente Fondazione MAXXI: « Occuparsi di stadi oggi non significa solo esplorare il legame tra sport e architettura, ma allargare lo sguardo e riflettere su tematiche più ampie legate alla società. Gli stadi, infatti, diventano vere e proprie lenti attraverso cui osservare fenomeni artistici, innovazioni progettuali, trasformazioni sociali e storiche. Con questa mostra, il MAXXI propone una visione critica degli stadi come infrastrutture complesse e cariche di significato culturale, frutto di un lavoro collettivo che ha coinvolto curatori, architetti, fotografi e realtà sportive. Un progetto che rafforza il ruolo del museo come punto di riferimento nel panorama dell’architettura contemporanea».
Francesco Stocchi, Direttore artistico MAXXI: «Lo stadio è un delle poche architetture che si mostra, e al tempo stesso mostra la società nel suo intero. Stadi, architettura e mito, intende raccontare l’affascinante evoluzione dello stadio – da spazio sportivo a simbolo urbano, da infrastruttura pubblica a icona architettonica – mettendo in luce come, attraverso lo sport, sia possibile leggere le trasformazioni della città, della tecnica e della cultura contemporanea».
tour
Progettato da Lorenzo Bini dello studio Binocle, l’allestimento di Stadi. Architettura e mito segue un ordinato viaggio cronologico, dove ogni tappa corrisponde al racconto appassionato di un'epoca, attraverso la memoria, i simboli e le passioni che rendono lo stadio uno dei luoghi più rappresentativi della contemporaneità. I tavoli ospitano disegni, modelli e progetti architettonici, mentre le pareti “spalti” si animano di opere d’arte, poster storici, fotografie e documenti legati a eventi sportivi memorabili. Grazie al progetto grafico dello Studio Fionda, l’ingresso in mostra sorprende subito il visitatore con le vetrate della Galleria KME completamente oscurate e un corridoio di accesso che lo conduce a un’anteprima straordinaria. Ad accogliere il pubblico infatti è l’opera video Zidane, A 21st Century Portrait (2006) di Douglas Gordon e Philippe Parreno: una doppia proiezione monumentale di sei metri per sei, cattura – attraverso 17 telecamere – ogni gesto, sguardo e respiro del campione francese durante il match tra Real Madrid e Villareal del 2005. Superata l’installazione video, si accede alla mostra incontrando l’imponente presenza architettonica dell’Allianz Arena firmata da Herzog & de Meuron, un grande modello illuminato alto oltre 2 metri. Accanto, una tribuna prefabbricata in metallo richiama direttamente l’esperienza fisica e sociale dello stadio, pensata non solo come parte dell’allestimento ma come vero e proprio luogo vivo all’interno della mostra, pronto a ospitare una reading room e gli incontri di approfondimento sulla mostra. Il primo tavolo è dedicato agli illustri antesignani dell’impianto sportivo moderno: il Panathenaiko di Atene e il Colosseo, simboli di un’epoca in cui lo sport e lo spettacolo erano già strumenti di aggregazione e identità. Un salto nel tempo, dall’antichità greco-romana a un lungo silenzio durato quindici secoli, fino alla rinascita dell’idea di stadio alla fine dell’Ottocento, in un’epoca di crescente specializzazione funzionale e urbanistica. Di lì a poco prenderà forma il prototipo dello stadio moderno con Archibald Leitch, visionario progettista britannico e autore dell’Ayresome Park (1903–1937). Da qui si dipana una ricca sequenza di progetti, disegni e modelli – come lo stadio dei 100.000 (1936) di Le Corbusier - che raccontano l’evoluzione dell’impianto sportivo. Per gli appassionati di architettura, la mostra presenta una selezione di progetti che raccontano approcci e linguaggi innovativi, tra cui il Municipal Stadium (2000 – 2003) di Braga, in Portogallo. Progettato da Eduardo Souto de Moura, è una struttura che si integra ad un’ex cava di pietre e sfrutta il versante naturale come anfiteatro. Privo di spalti alle estremità, si apre scenograficamente verso la valle. Tra gli stadi contemporanei spiccano i modelli londinesi firmati dallo studio Populous – il Wembley Stadium e l’Olympic Stadium (2012) – noto per la progettazione di grandi impianti sportivi e centri congressi. A fare da cornice al percorso, le pareti offrono un mosaico di momenti chiave che hanno segnato la storia degli stadi: la prima radiocronaca sportiva italiana del 1928, il concerto dei Beatles del 1965 al Shea Stadium di New York, gli anni bui degli incidenti negli anni Ottanta, come quello di Hillsborough o dell’Heysel che hanno spinto a una profonda riflessione e alla conseguente trasformazione strutturale degli impianti. Si rivive poi l’atmosfera euforica di Italia ’90 attraverso il Manifesto per l’Italia ’90 di Alberto Burri, la celebre mascotte Ciao e uno schizzo dello stadio di Trieste, accompagnati da cinque progetti significativi: lo Stadio San Nicola di Bari (1990) firmato da Renzo Piano, lo Stadio San Siro di Milano progettato da G. Ragazzi, E. Hoffer, L. Finzi ed E. Nova, lo Stadio delle Alpi di Torino, lo Stadio Luigi Ferraris di Genova rinnovato da Vittorio Gregotti e lo stadio di Trieste dello Studio Celli, documentato negli scatti di Stefano Graziani. Esposti anche gli intramontabili poster della FIFA, tra cui quello del primo Campionato Mondiale disputato in Uruguay nel 1930, quello del primo torneo ospitato in Italia e vinto nel 1934, e quello del Mondiale del 1970 in Messico, il primo organizzato in Sudamerica. All’inizio del XXI secolo, lo stadio si afferma come strumento di marketing territoriale, coinvolgendo sempre più spesso architetti di rilievo, fino ad allora scarsamente coinvolti in questo ambito. Il percorso espositivo è impreziosito dal patrocinio concesso dalla FIGC: saranno infatti esposti i trofei simbolo della storia della Nazionale italiana, a partire dai quattro Mondiali vinti (dal 29 maggio al 31 agosto le due Coppe Rimet del 1934 e del 1938; dal 1 al 26 ottobre le Coppe del Mondo del 1982 e 2006) passando per i due trionfi Europei del 1968 e 2020 (dal 1° al 30 settembre). Nei progetti di nuova costruzione e ristrutturazione, l’attenzione si concentra sull’esperienza del tifoso e sull’integrazione di tecnologie avanzate – tetti e campi retrattili, membrane polimeriche, pannelli LED – aprendo la strada allo stadio transformer, un impianto flessibile, capace di assumere diverse configurazioni e ospitare una pluralità di eventi e funzioni. Lungo la curva della galleria KME, due campagne fotografiche hanno raccontato sei stadi in quattro città italiane, lungo l’asse sud-ovest/nord-est. Filippo Romano (Milano, 1968) ha esplorato i contrasti tra gli impianti di Messina e Udine, dalla memoria storica del Celeste al moderno San Filippo e al rinnovato Bluenergy Stadium. Stefano Graziani (Bologna, 1971) ha invece fotografato gli stadi di Trieste – il Grezar e il Nereo Rocco – e il vibrante San Paolo - Diego Armando Maradona di Napoli, simbolo della passione calcistica partenopea. Tra i nuclei centrali della mostra, le cinque “isole antropologiche” esplorano il rapporto profondo tra stadio, città e spettatore, indagando gli aspetti sociali e culturali legati a queste strutture. La prima isola è dedicata alle emozioni vissute – gioia, esultanza, rabbia, tristezza, stupore – e raccontate attraverso oggetti, testimonianze, immagini dal passato e dal presente. Le sezioni successive approfondiscono il ruolo del pubblico, le sue pratiche, le trasformazioni nel tempo e il legame, affettivo e talvolta anche conflittuale, con l’arena. Lo stadio viene analizzato anche come spazio politico per eccellenza, fin dalle sue origini. La quinta isola, infine, propone un confronto tra gli stadi del Novecento, integrati nel tessuto urbano e carichi di valore simbolico, e quelli contemporanei, spesso decentrati, privati e modellati secondo logiche di marketing e sicurezza. A coronamento del racconto di mostra, lo stadio come oggetto culturale e immaginario collettivo, presente nella letteratura, nella poesia, nel cinema, nel fumetto, nella fotografia e nell’arte contemporanea. Accanto all’architettura infatti, l’arte restituisce un’altra chiave di lettura dello stadio: opere di Tato, Titina Maselli, Il mago del calcio (1935) di Bruno Munari, fotografie di Luigi Ghirri e Henri Cartier-Bresson, Takashi Homma, Olivo Barbieri e l’opera video di Neville Gabie, Every seat in the stadium (2011) offrono un racconto visivo potente, capace di evocare la forza e la ritualità della folla. Il percorso si conclude con l’anatomia di uno stadio rappresentata in un’altra grande videoinstallazione dal titolo San Siro (The roots of violence. Series) di Yuri Ancarani. L’opera del 2014 è un episodio della serie Le radici della violenza, in cui tecnici, operai, poliziotti, steward, giardinieri, operatori televisivi e tifosi compongono il dietro le quinte del rito implacabile del calcio.
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