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MOSTRA ARTE

Giancarlo Limoni
Non ho tempo - Lezioni di tenebra: opere dal nero
mostra  A.A.M. ARCHITETTURA ARTE MODERNA - ROMA, dal 19/10/2009 al 28/11/2009
Si inaugura Lunedì 19 Ottobre presso A.A.M. Architettura Arte Moderna una mostra dedicata a Giancarlo Limoni.
 
A distanza di alcuni anni da una sua precedente personale tenuta presso la stessa A.A.M., l’artista presenta una ventina di opere recenti di grande e medio formato (olii su tela) risultato degli ultimi due anni di intenso e unitario lavoro, all’insegna di un duplice tema.

Il primo, dal titolo “Non ho tempo” rappresenta una sorta di omaggio a Èvariste Galois, fondatore della moderna algebra astratta; romantico personaggio morto a soli vent’anni ed emblema di quanto troppo spesso la mediocrità trionfi sulla genialità, il cui lavoro, anche quello terminale redatto prima dell’alba del giorno del duello, durante terribili ore di disperazione, “costituisce ancora uno spunto di riflessione e di ricerca per i matematici moderni”.
 
Il secondo tema dal titolo “Lezioni di tenebra: opere dal nero”, costituisce invece un evidente riferimento a Roger Caillois, straordinario scrittore e saggista, che ha segnato, fin dalle sue opere del 1938 la più attenta cultura internazionale e di cui vale la pena di ricordare almeno le superbe indicazioni a proposito del piacere dello scrivere in pura perdita come unico modo per scrivere liberamente (Il fiume Alfeo ‘78), cosi come la definizione della “ipertelia” quale sviluppo esagerato e sterile di alcuni organi, che porta all’esaurimento del senso a causa della crescita del segno.
 
Ma le due anime del lavoro più sopra indicate trovano una loro straordinaria integrazione che deriva non tanto e non solo dall’essere tutte le opere uniformate dal fondo nero e bituminoso, da cui sembrano sollevarsi i grumi di pittura più accesi cromaticamente come scoppi improvvisi di luce e materia, quanto, piuttosto, dalla paziente e stratificata esecuzione delle opere stesse, quasi a scandire una successione temporale del lavoro che per successivi ispessimenti conduce all’epifania dell’opera stessa, a indicare che solo il tempo, l’intervallo, l’interruzione e poi la ripresa possono dar vita e senso ad un lavoro paziente e ostinato teso alla ricerca della propria stessa ragione di darsi e di offrirsi.

Ma è un darsi inquietante quello che traspare da queste opere poiché immediata è la sensazione che tutte alludano alla possibilità di un prossimo e ravvicinato annullamento se non a un sottile equilibrio tra Eros e Thanatos come se dietro quelle lussureggianti e sontuose accensioni cromatiche si insinuasse prepotentemente l’idea della consunzione, l’idea della fine, l’idea della morte. Non è casuale che l’intero ciclo pittorico presentato in mostra cerchi una sorta di continuità con le radici della pittura più esistenziale, quella della seconda metà degli anni ’50 in cui più forte è avvertito l’equilibrio della tensione tra gli artisti il cui linguaggio si basava sull’emozione, sulla percezione di una possibile fine, sul disagio di vivere, legandosi a categorie espressive quali “segno”, “gesto” e “materia”.

Ed è a questa precarietà esistenziale che Giancarlo Limoni sembra guardare durante l’evoluzione del proprio linguaggio poetico, quasi si fossero inseriti improvvisi e larvati timori in quel ritrovarsi di fronte a se stesso, senza giustificazioni consolatorie, senza finalità o teleologie ascrivibili a qualcosa o a qualcuno al di fuori di Sé. Un modo, quello dell’artista, di rivendicare la propria solitudine e quella del singolo individuo di fronte alle scelte fondamentali della propria esistenza, ma nello stesso tempo ribadendo la propria centralità quando si riascrive la possibilità a la responsabilità delle proprie scelte, alludendo così ad una propria contraddittoria collocazione tra vocazione “umanista” e condizione “individualista”.

Non si può che essere soli, insieme ad altre solitudini, a rivendicare il proprio essere uomo a dispetto del buio percepito su una sempre più avvertita disgregazione se non fine dell’umanità stessa. Ma tutto ciò non significa affatto uno sguardo rivolto all’indietro da parte dell’artista, quanto piuttosto una precisa volontà di riannodare fili interrotti con una tradizione forse troppo in fretta consumata e liquidata, quasi a ricostruire un dialogo con quella pittura in cui il sentimento è sottile equilibrio tra opposte polarità come in Nicolas De Stael, cui G. Limoni sembra far riferimento, in quel suo riprendere l’idea di pittura al limite della dissoluzione, come unico modo per entrare in contatto con il mondo stesso, come se dipingere fosse un modo per manifestare la propria adesione al mondo stesso, ed esternare i propri desideri, con tesa  partecipazione emotiva di cui ogni colpo di pennello è testimonianza, destinato a interrompersi bruscamente solo di fronte all’irrompere del tragico, dell’ignoto, dell’indecifrabile.
 
Le opere di G. Limoni, ci consegnano una straordinaria e costante applicazione nella volontà di penetrare nel colore, un intenso interesse cromatico stabilito su una base di tonalità raggianti nelle rapide pennellate dell’artista, così come sono costanti le sue attenzioni nell'osservazione della natura eternamente soggetto delle sue ricerche. Ma la natura per Limoni è anche la continua evocazione di una profondità raggiunta senza dispersioni e senza apprensioni apparenti; anche se l'inquietudine è presente dietro i fiori e rappresenta, in ogni modo, un’appartata, una nascosta qualità dell'artista. La vorticosità del segno in molte opere rappresenta la confidenza di Giancarlo Limoni con i propri strumenti, dimestichezza con i mezzi dell’arte sempre perseguiti.
 
Con queste certezze/necessità gli spazi delle tele di Limoni si sono disposti, secondo un criterio prima complesso e immaginario, in flussi lineari di sostanza cromatica, poi si sono convertiti in mura di colore spesse e sontuose. Una simile evoluzione di ispessimento della vacuità, di condensamento del campo, limita i confini esterni delle figure fino a farle coincidere con esse. Il segno dell’artista diviene più inconsistente, meno animoso, l’esito è una giovinezza del tratto che diventa più accondiscendente, una spontaneità più tranquilla, una sicurezza quindi che viene sentita come anima di una coscienza, di una nuova capacità di emozionarsi artisticamente. Certo i lavori più recenti dell’artista hanno subito una sorta di “coup de fouet“ un vero colpo di frusta. Permane anche in questa fase del lavoro la fissazione-ossesione per il tutto pieno come se un sipario o comunque una siepe ci costringessero a permanere con lo sguardo sull’opera per scoprire sempre ulteriori dettagli in una sorta di caleidoscopico blow up.

Ma questo evidenziato horror et amor vacui cede ora ad alcuni momenti di più diluita rarefazione: un vento barocco scompiglia come l’angelo di Benjamin qualsiasi tentativo di fissità. Se fino alla fine del millennio il permanere nelle opere di G. Limoni di alti orizzonti, di intravisti paesaggi che si facevano barriera tra cui comunque spuntava qualche sia pur parziale indicazione di “fondi“, alludeva ad una ricercata sospensione del tempo, in una sorta di limbo, ora, sempre più frequenti deflagrazioni e vorticose dinamicizzazioni alludono ad una precisa volontà di espressionistica deformazione del tutto. Si insinua uno scompigliamento barocco ad aprire veri e propri “golfi mistici” con veloci gestualità nell’estensione della materia pittorica che crea con la sua furia dapprima leggere increspature della superficie per poi giungere ad effervescenze di eruzioni magmatiche.

Pure larve affioranti dal fondo sembrano indicare la strada più affine all’attuale ricerca di G. Limoni in cui il far pittura con l’alternanza di densità e di diluizione della materia riconduce l’opera nella condizione di fulminante e sfuggente pura apparizione.
 
Giancarlo Limoni è tra i protagonisti della Nuova Scuola Romana degli anni ’80, che vede negli stessi anni all’opera autori, tra gli altri, quali Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Enrico Luzzi, Nunzio, Claudio Palmieri, Piero Pizzi Cannella, Marco Tirelli, di cui alcuni avranno come riferimento la Galleria l'Attico di Fabio Sargentini.
Partecipa ad alcune tra le più importanti collettive di quegli anni: "Nuove trame dell'Arte" a Genazzano, "Anni ‘80" a Bologna, "La nuova scuola romana" a Graz, "Trent'anni dell'Attico" a Spoleto, "Capodopera" a Fiesole e "Post-Astrazione" a Milano. Dal 1986 ha trasferito il suo studio al quartiere Prenestino. Vive e lavora a Roma.
 
A cura di Francesco Moschini
Coordinamento di Francesco Maggiore e Gabriel Vaduva

 Orario di apertura, tutti i giorni ore 16.00-20.00
Sabato e domenica compresi
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Contatti
A.A.M. ARCHITETTURA ARTE MODERNA VIA DEI BANCHI VECCHI, 61, 00186 ROMA
tel. 0668307537
[email protected]

Link
www.aamgalleria.it
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