BassamFellows riedita la lampada della Glass House di Philip Johnson
Disegnata con Richard Kelly nel 1953 per l'iconica architettura in vetro, è parte della collezione permanente del MoMA. La storia della "lampada senza riflessi"
23/06/2025 - BassamFellows riedita la lampada da terra della Glass House, progettata nel 1953 da Philip Johnson e Richard Kelly. Fuori produzione dal 1967, la lampada è considerata un’icona nel design moderno. Parte della collezione permanente del MoMA, ha arredato alcune delle residenze e gallerie americane più iconiche del Novecento.
La storia della lampada Johnson/Kelly
Quando Philip Johnson collaborò con Richard Kelly alla creazione di una lampada per la Glass House negli anni Cinquanta, il risultato fu un oggetto destinato a entrare in alcuni degli interni privati più significativi del XX secolo. Il progetto rappresentava un approccio rivoluzionario all’illuminazione degli ambienti, in sintonia con una forma di architettura radicalmente nuova. La lampada, pura nella forma e nella funzione, era perfettamente coerente con l’essenzialità dei nuovi spazi, ai quali aggiungeva un’atmosfera rilassante.
Quando la Glass House fu completata nel 1949, le visuali offerte dal padiglione trasparente di Johnson trasformarono il modo in cui si percepiva l’architettura. All’interno e all’esterno di quella scatola di vetro, tutto era visibile, dai colori mutevoli del bosco circostante al daybed disegnato dal mentore di Johnson, Mies van der Rohe. Era un modo di vivere radicale e rigenerante.
Ma di notte, l’assenza di pareti interne e la trasparenza della casa presentavano una sfida unica. L’area living era definita solo dalla presenza un tappeto e dalla disposizione degli arredi, non da pareti divisorie, e l’illuminazione tradizionale risultava inadatta. Inoltre, il vetro riflettente creava una situazione complicata da risolvere, come scattare una fotografia allo specchio.
All’inizio Johnson utilizzò una lampada a candelabro, ma non ne era soddisfatto. Motivato a cercare una soluzione migliore, incoraggiò la collaborazione con il lighting designer Richard Kelly. Grazie alla sua esperienza nell’illuminazione teatrale, Kelly contribuì a progettare una lampada che ribaltava completamente i canoni tradizionali.
Al posto di una luce dall’alto, la lampada aveva una potente sorgente luminosa non visibile, posizionata vicino a terra. La luce era diretta verso l’alto e poi riflessa verso il basso da un paralume conico. Il risultato era un bagliore morbido che illuminava delicatamente l’area di seduta, evitando riflessi sulle pareti di vetro.
Più che un oggetto d’arredo, la lampada era come una piccola architettura all’interno di una architettura più grande. Era dotata anche di dimmer, che permetteva a Johnson di regolare con precisione i livelli di luce, mantenendo il delicato equilibrio tra interno ed esterno.
Nel 1979, Johnson raccontò quanto Kelly – morto due anni prima – fosse stato importante per il suo lavoro: “Era il mio guru, l’uomo che mi ha insegnato l’importanza della luce. Quando mi trasferii nella Glass House, c’era solo la luce del sole. Puoi immaginare il problema dei riflessi. Accendevi una lampadina e ne vedevi sei. Quando fuori era buio, pensavo che non ci fosse nulla che un lighting designer potesse fare. Richard inventò l’arte dell’illuminazione residenziale il giorno in cui progettò le luci per la Glass House. Capì che non c’era altro posto dove mettere le luci se non a terra.”
Il concetto di Johnson e Kelly rispondeva a un’idea olistica e scenografica dell’illuminazione degli spazi. La luce generata dalla lampada rappresentava alla perfezione ciò che Kelly chiamava focal
glow – quell’elemento di contrasto essenziale rispetto all’ambient luminescence (illuminazione di fondo) e al play of brilliants (la brillantezza spettacolare), che Kelly spiegava come l’effetto “Times Square at night”.
Secondo Kelly, i tre tipi di illuminazione dovevano necessariamente coesistere per rendere lo spazio dinamico. Il focal glow era “il riflettore puntato sulla scena moderna. È la luce accanto alla tua poltrona preferita. È il raggio di sole in fondo alla valle. È la candela sul volto, la torcia sulla scala. Il focal glow attira l’attenzione, unisce elementi diversi, valorizza i prodotti da vendere, distingue ciò che è importante da ciò che non lo è, aiuta le persone a vedere.”
Il primo disegno della lampada fu realizzato e firmato nel 1952, con la produzione avviata da Edison Price l’anno successivo. Inizialmente, il corpo centrale in bronzo, sormontato da un cono in alluminio (con superficie interna riflettente di colore bianco), poggiava su tre gambe, ma questa configurazione si rivelò instabile, portando a una revisione del progetto. Solo pochi esemplari furono prodotti prima del passaggio a quattro gambe, nel 1954.
Fu questa versione, in bronzo naturale, che Johnson donò al MoMA, dove fa parte della collezione permanente come Oggetto 265.1958.a-b (curiosamente con la datazione impossibile del 1950). Altre versioni furono realizzate in bronzo smaltato anche nei colori blu, giallo, rosso e nero.
Il rapporto con Edison Price e Richard Kelly fu fondamentale nella ricerca e nella visione di Philip Johnson. Quando, nel 1959, si inaugurò il ristorante The Four Seasons nel Seagram Building, il progetto era frutto della visione condivisa tra Johnson e Mies van der Rohe. Price fornì i corpi illuminanti a incasso che avvolgevano l’ambiente in una luce morbida, mentre Kelly definì il concept generale su come l’architettura e gli spazi dovessero essere illuminati.
Sfidando le convenzioni dell’epoca, introdusse nel progetto elementi di illuminazione teatrale e, grazie all’uso di sculture e tende riflettenti, creò effetti mai visti prima.
La lampada della Glass House comparve poi negli interni di importanti collezionisti d’arte, accanto ai capolavori dell’Espressionismo astratto, del Minimalismo e della scultura contemporanea. Entrò nella casa di William A. M. Burden, per molti anni presidente del MoMA. Fu collocata nella Glass Barn della tenuta Tremaine a Madison (Connecticut) e nella Davis House a Minneapolis.
Anche se la lampada non era ancora stata progettata quando Johnson creò la guest house per Blanchette Rockefeller nel 1950, sarebbe stata inserita in quello spazio poco dopo. Johnson vi si trasferì nel 1971 con il suo compagno, il gallerista David Whitney, trasformando la Rockefeller Guest House in una galleria privata che accoglieva opere di Roy Lichtenstein e Frank Stella.
Una lampada fu collocata anche nella casa che Johnson progettò per Richard e Geraldine Hodgson a New Canaan, tra il 1950 e il 1951. Anche se la lampada si trasferì con gli Hodgson, fu proprio quella casa a ispirarne la rinascita.
La riedizione firmata BassamFellows
Oggi la casa appartiene a Craig Bassam e Scott Fellows. Poco dopo essersi trasferiti, iniziarono a esplorare la possibilità di ottenere la licenza per rimettere la lampada in produzione. Vivere con la lampada, in uno degli ambienti per cui era stata concepita, ha ricordato loro quanto fosse straordinariamente efficace.
Grazie al lavoro di Craig Bassam e Scott Fellows, la lampada Johnson/Kelly torna in produzione con una riedizione filologicamente fedele, autorizzata da The Glass House, The National Trust for Historic Preservation ed Estate of Richard Kelly.
Eliminando la luce dall’alto e riducendo i riflessi, la lampada consente all’occhio di concentrarsi sull’architettura e sul paesaggio circostante. L’effetto è sottilmente teatrale, elemento coerente di un insieme che plasma l’atmosfera dello spazio senza però dominarla.
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