28/11/2007 – Sostenibilità e trasparenza. Questi i principi che hanno ispirato Renzo Piano nella progettazione della nuova sede del New York Times, ufficialmente inaugurata il 20 novembre scorso.
Il grattacielo disegnato dall’architetto genovese per il prestigioso quotidiano americano percorre lo skyline della Grande Mela per 52 piani raggiungendo i 228 metri di altezza. Di qui si innalza un’antenna di quasi 100 metri che fa oggi dell’avveniristica struttura il terzo edificio più alto della città; classifica destinata a mutare con il completamento della Freedom Tower che, con i suoi 541 metri di altezza, farà slittare la nuova sede del giornale al quarto posto nella competizione delle architetture verticali per la conquista del cielo newyorkese.
L’edificio sorge a Times Square, nell’isolato tra la quarantesima e la quarantunesima strada di Manhattan, con affaccio principale sull’ottava Avenue.
Dalla geometria semplice e primaria, la nuova torre del New York Times prende forma dalla combinazione di vetro, acciaio e ceramica.
La trasparenza è intesa nel duplice senso di espressione di un preciso linguaggio architettonico - come scelta di determinate tecnologie e materiali incentrate sull’aspetto ecologico - nonché metafora dell’informazione chiara e diretta di cui il giornale sarebbe idealmente portavoce.
L’intelaiatura di acciaio è rivestita da una parete di vetro schermata da barre orizzontali in ceramica estrusa che fungono da elementi frangisole. Ne risulta una pelle che riflette i mutevoli colori del paesaggio di una città che l’autore del progetto definisce “fotosensibile”.
“È sottile e non utilizza vetri a specchio o oscurati che trasformano le torri in soggetti misteriosi ed ermetici – si legge nel comunicato diffuso dallo studio Renzo Piano Building Workshop - al contrario, l’impiego di vetro trasparente combinato con modelli di ceramica permettono che l’edificio si adatti ai colori dell’atmosfera: azzurro dopo un acquazzone, rosso tremolante dopo un tramonto”.
“L’edificio parla alla strada”. Secondo lo spirito del progetto l’ingresso dell’edificio, al piano terra, è aperto, trasparente e permeabile. Qui trova spazio un grande giardino interno visibile dalla strada e aperto al pubblico. L’atrio ospita inoltre un auditorium semi pubblico, ristoranti e negozi.
La circolazione verticale è garantita da 28 ascensori, e scale poste sulla facciate laterali visibili dall’esterno.
“L’edificio e la città - spiega Piano in un intervista con il Corriere della Sera - si leggono a vicenda e dialogano. Mi è sembrata una buona metafora del concetto di redazione e di giornale, una struttura che si alimenta della città”.
Duro, sebbene non del tutto avido di complimenti, il commento del noto critico del New York Times Nicolai Ouroussoff, il quale non si sente particolarmente colpito dal grattacielo progettato da Piano. “Nonostante i migliori sforzi dell’architetto – dichiara Ouroussoff – nello skyline gli schermi risultano piatti e senza vita. L’uniformità delle barre conferisce loro un aspetto quasi minaccioso, reso ancora più evidente dal grigio della struttura che priva la facciata di qualsiasi gioco di luce e ombra”.
“Ma il grattacielo – riconosce il critico – diventa vivo quando tocca il suolo. Tutte le migliori qualità di Piano vengono qui messe in evidenza: il suo raffinato senso delle proporzioni, l’amore per i dettagli strutturali, il grande senso di responsabilità civica”.
L’architetto sarebbe riuscito ad offuscare il confine tra interno ed esterno, tra vita del giornale e vita della strada. La trasparenza della lobby compenserebbe perfettamente l’imponenza delle travi in acciaio che sostengono l’edificio.
Ouroussoff apprezza in particolare il senso di trasparenza che ispira il progetto, che sarebbe in questo debitore verso alcuni landmark del dopoguerra come la Lever House di Skidmore, Owings & Merrill o del Seagram Building di Mies van der Rohe – progetti che “incarnano i valori progressivi ed il potere industriale di un’America trionfante”. Le loro “lineari geometrie in vetro e acciaio rivelano una fiducia nell’efficienza dell’era delle macchine e in una società democratica, aperta e onesta”. Un tipo di idealismo che secondo il critico del New York Tiomes avrebbe raggiunto l’apice nel periodo che dal movimento dei diritti civili giunge sino alla guerra in Vietnam e del Watergate, quando i giornalisti erano considerati esempi incontrastati di onestà e imparzialità.
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