Arnaldo Pomodoro © Nicola Gnesi per Fondazione Henraux
23/06/2025 - È scomparso ieri sera, alla vigilia del suo 99° compleanno, Arnaldo Pomodoro, maestro indiscusso della scultura italiana del Novecento. Nato a Morciano di Romagna il 23 giugno 1926, ha trascorso buona parte della sua vita e della sua attività a Milano, città che ne ha accolto molte delle opere più iconiche e che oggi lo ricorda come uno dei suoi interpreti più profondi.
Formatosi inizialmente come geometra e orafo, Pomodoro approdò alla scultura nei primi anni Cinquanta, sviluppando in breve tempo un linguaggio fortemente personale. La sua cifra stilistica si fonda sul contrasto tra forme geometriche perfette—sfere, dischi, colonne, cubi—e la tensione interna generata da fenditure, cavità e meccanismi che sembrano nascosti nel cuore della materia. Un’estetica che mette in dialogo superficie e profondità, ordine e disgregazione.
Tra le sue opere più celebri spiccano le grandi “Sphere Within Sphere”, collocate in luoghi simbolici come il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York, il Cortile della Pigna in Vaticano, il Trinity College di Dublino e diverse piazze di metropoli come Los Angeles, Mosca, Brisbane, Copenhagen e naturalmente Milano.

Sphere Within Sphere, 1991/93, New York, Foto © Cecilia Di Marzo
Ma è nell’interazione con l’ambiente costruito che Pomodoro ha lasciato un segno ancora più profondo, dando vita a sculture architettoniche o interventi urbani in grado di modificare il senso dei luoghi.
La scultura come spazio abitabile
Tra le sue più significative opere architettoniche spicca il Carapace (2012), realizzato per la Tenuta Castelbuono di Bevagna, in Umbria. Una grande cupola di rame che emerge come un guscio solcato da fratture, simbolo di fusione tra terra e cielo, tra materia scultorea e funzione vitivinicola. Pomodoro stesso la definì una “scultura abitabile”, e a pieno titolo rappresenta un unicum nel panorama dell’architettura italiana contemporanea.

Carapace Winery, foto © A. Mulas
Altrettanto rilevante è Moto terreno solare, un altorilievo in cemento armato collocato nel Parco del Negombo a Ischia, risultato della collaborazione con il paesaggista Ermanno Casasco. Anche in questo caso, la scultura si fa architettura, in un rapporto diretto con il territorio e con la dimensione sensoriale dello spazio.
In numerosi progetti pubblici Pomodoro ha dialogato con architetti e urbanisti: basti citare le Colonne per l’Università di Parma, il monumentale obelisco Lancia di Luce a Terni, alto 30 metri, o l’installazione urbana Novecento, una spirale bronzea collocata nel quartiere EUR di Roma nel 2004.
Un’eredità culturale viva
Nel corso della sua lunga carriera Pomodoro ha ricevuto alcuni dei più importanti riconoscimenti internazionali: dalla Biennale di Venezia al Praemium Imperiale in Giappone, fino al Lifetime Achievement Award dell’International Sculpture Center.
Nel 1995 ha fondato la Fondazione Arnaldo Pomodoro, con sede a Milano, oggi diretta da Carlotta Montebello. L’istituzione custodisce non solo il patrimonio dell’artista, ma promuove attivamente giovani scultori, mostre, ricerche e attività formative.
“Non ho mai creduto alle fondazioni che celebrano un solo artista come unicum… Ma il meglio deve ancora venire”, aveva dichiarato Pomodoro con uno sguardo lungimirante.
A marzo scorso, la Fondazione ha riaperto al pubblico il Labirinto di Arnaldo Pomodoro, una delle opere più suggestive dell’artista.
Situata nei sotterranei della Maison FENDI, recentemente ristrutturata, l’opera invita i visitatori a vivere un’esperienza straordinaria e immersiva tra i meandri di una scultura che trascende il concetto tradizionale di spazio artistico.

Labirinto Arnaldo Pomodoro, Foto ©Andrès Juan Suarez, Courtesy of Fondazione Arnaldo Pomodoro
“Il mio ingresso nel labirinto è un invito nei meandri di un percorso, dove il tempo è trasformato in spazio e lo spazio a sua volta diventa tempo”, aveva affermato lo stesso Arnaldo Pomodoro, descrivendo la profonda connessione tra il suo lavoro artistico e l’esperienza sensoriale dei visitatori.
La grande opera non è un semplice dedalo: è un luogo unico che sovverte l’idea tradizionale di labirinto, privo di visioni verdeggianti e avvolto nell’oscurità dei sotterranei. L’opera, ispirata all’Epopea di Gilgamesh, il primo grande poema allegorico della storia umana (2000 a.C. circa), conduce il visitatore in un viaggio tra mito e memoria, alla scoperta delle radici dell’esperienza umana.
Arte come dispositivo urbano
Oltre alla ricerca plastica, Pomodoro ha sempre sostenuto una visione dell’arte pubblica come elemento generativo per la città: capace di trasformare spazi anonimi in luoghi di significato, e di stimolare relazioni visive, simboliche e sociali. La sua opera, tanto monumentale quanto profondamente umana, continuerà a vivere nel tessuto urbano e culturale di molte città del mondo.
Con la sua scomparsa, l’Italia perde non solo un grande scultore, ma anche un progettista del paesaggio urbano e un pensatore dello spazio condiviso. Il suo lavoro resta come traccia permanente di una ricerca che ha saputo far dialogare scultura, architettura e memoria.
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