17/05/2022 - LOM – Locanda Officina Monumentale rappresenta per Andrea Borri Architetti una sorta di ‘Progetto Manifesto’: un’iniziativa di rigenerazione urbana di cui è stato esecutore e committente, improntata sui concetti che sono alla base della filosofia dello studio.
L’edificio protagonista del progetto nasce come cascina intorno al 1850 alle spalle del cimitero Monumentale di Milano, ai tempi un contesto ben più “rurale” rispetto ad oggi. La cascina aveva un uso tecnico e manifatturiero e faceva parte di un complesso più grande che aveva il nome di “Cascina Lupetta”. L’immobile poi era stato abbandonato e, quindi, occupato e lasciato in condizioni di totale degrado.
Lo spazio, rilevato da Andrea Borri, Michele Borri, Stefano Micelli e Alfredo Trotta e radicalmente ristrutturato da Andrea Borri Architetti, ha acquistato una vita completamente nuova.
I 1200 metri quadri della cascina oggi vengono utilizzati in diversi modi: 700 mq ospitano aziende aderenti al progetto di accelerazione d’impresa – ospitando artigiani 4.0 che realizzano produzioni custom made con una profonda attenzione alla qualità e alla sostenibilità -, 200 sono aperti al pubblico con attività di bar e ristorazione, 70 sono spazi comuni e i restanti adibiti a formazione e ospitalità.
Alla base della filosofia di Andrea Borri Architetti vi sono concetti come rigenerazione urbana, riattivazione del patrimonio architettonico esistente trasformato in spazio sociale, upcycling, restauro radicale, sostenibilità che sono stati il timone alla guida per la realizzazione di LOM.
La Locanda Officina Monumentale diventa così non solo un progetto innovativo, intraprendente, sperimentale, ma anche un nuovo punto di partenza per il territorio e per lo studio stesso.
La struttura compositiva è molto semplice. Si tratta infatti di un edificio a pianta rettangolare suddiviso in otto blocchi identici fra loro e una piccola spina di servizio posta al centro. In origine era interamente realizzato in mattoni e legno senza alcun altro materiale. Questo ha permesso di gestirne molto meglio il processo di smontaggio e riassemblaggio. La facciata, ad esempio, presentava una serie di aperture e alcune cicatrici derivanti dagli interventi di modellazione avvenuti negli anni successivi, utilizzate poi nella definizione della nuova architettura e dei nuovi spazi.
Il giardino è stato affidato al paesaggista Vittorio Peretto il quale ha affrontato i temi dell’esterno con grande sensibilità. L’architetto ha infatti proposto di realizzare un “Dry Garden”, un giardino che non necessiti di essere innaffiato, se non in minima parte per le poche piante mobili.
É stato volutamente deciso di non usare erba per lasciar posto a un grande sistema di distesa di ghiaia, la quale oltre a garantire un’assoluta permeabilità del terreno, permette anche di rendere più fresco il giardino, senza però richiedere l’utilizzo di acqua. Tutte le piante scelte sono ovviamente a basso consumo idrico e tendenzialmente tropicali, in quanto le temperature stanno aumentando e per questa ragione è fondamentale da subito mettere a dimora piante che non vadano in sofferenza con climi più caldi.
Per sicurezza è stata posizionata una cisterna da 5000 l di accumulo di acqua piovana, riutilizzata per le poche fasi di innaffiatura necessaria.
Interni
La realizzazione degli interni ha seguito lo stesso modus operandi dell’esterno, orientandosi verso i principi la filosofia dell’upcycling e della sostenibilità. Tutto ciò poteva essere recuperato è stato rigenerato e impiegato nuovamente come l’utilizzo delle assi in legno, precedentemente parte dell’architettura, utilizzate per creare i piani dei tavoli. Dove questo non è stato possibile, la scelta è andata verso prodotti contemporanei e innovativi, grazie al supporto e alla collaborazione di altri professionisti e aziende di design.
Partendo dalla matrice originale e dall’idea di ri-caratterizzare un edificio divenuto anonimo, lo studio ha iniziato con una fase di strip out radicale. L’immobile è stato per prima cosa spogliato in tutto e per tutto degli elementi in legno, oltre che delle solette e di tutti i sottofondi, fino ad arrivare ai piedi di fondazione. A questo punto è stato realizzato un vespaio areato che permettesse di accogliere tutte le infrastrutture del reticolo idrico e dei sottoservizi. Sono quindi state staccate le pareti, lavate e stabilizzate. Le cuciture delle finestre sono state ordinatamente aperte. Gli interventi di ricucitura sono stati effettuati mediante l’utilizzo dei mattoni del fabbricato stesso, poiché costituivano il telaio d’appoggio del vecchio tetto, anch’esso smontato e successivamente riutilizzato.
Laddove possibile sono stati conservati tutti gli intonaci originali, soprattutto al primo piano, cercando di intervenire nella maniera più delicata possibile, lavando e proteggendo i decori storici con smalti all’acqua trasparenti.
All’ultimo piano è stato recuperato anche il sottotetto attraverso un intervento piuttosto radicale, ovvero lo slittamento verso il basso d’incirca 60cm della soletta che divideva primo piano e sottotetto.
Modernità e restauro radicale, dunque, ma anche conservazione dei segni lasciati dal tempo, nel rispetto della storia del luogo.
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