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EDIT Napoli. Intervista a Domitilla Dardi ed Emilia Petruccelli
Fisica e digitale: la 2a edizione della fiera dedicata al design editoriale
Autore: rossana vinci
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Emilia Petruccelli e Domitilla Dardi, Scaturchio courtyard © Lea Anouchinsky Emilia Petruccelli e Domitilla Dardi, Scaturchio courtyard © Lea Anouchinsky
04/11/2020 - Da un lato esiste il mondo della produzione industriale  portato avanti dai grandi marchi di design  dall’altro quello della produzione artigianale (quasi artistica) dei pezzi unici artigianali. Nel mezzo c’è il design cosiddetto “editoriale” o “d’autore”, che ancora oggi stenta ad avere una precisa collocazione sul mercato ma che, in Italia, dallo scorso anno, ha la sua fiera: EDIT Napoli.

Quest’anno, solo alla sua seconda edizione, la giovane fiera partenopea  andata in scena dal 16 al 18 ottobre  è già passata dalla ‘prova del Covid’. E, nonostante il periodo nero, ha addirittura visto una crescita in termini di numero di designer, aziende e location, confermando con coraggio la prima fiera ‘fisica’ di settore in Italia nell’era di una pandemia che sta sconvolgendo le logiche globali.

“Perché EDIT Napoli nasce come una fiera fisica, delegare tutto al virtuale non era un’opzione plausibile”, affermano le fondatrici Domitilla Dardi, curatrice e storica del design, ed Emilia Petruccelli, di formazione ingegnere ed oggi imprenditrice e buyer. “È ancora nell’incontro fisico tra autori, pubblico e prodotti che si creano le connessioni”.


Sala del Capitolo Ph. © Serena Eller Vainicher

Con una forte connotazione curatoriale e allo stesso commerciale, l’idea di EDIT nasce dall’ambizione di unire in un unico progetto le voci e i racconti degli artigiani e le aspirazioni dei creativi, la cui collaborazione si salda e concretizza nei prodotti presenti in fiera, occasione che pone una lente d’ingrandimento sulle potenzialità, a volte celate, del design editoriale.

Anche quest’anno, EDIT conferma il forte legame con il territorio che la ospita, Napoli “capitale del mediterraneo, e luogo in cui le culture si sono sempre incrociate e contaminate..dove miseria e nobiltà vivono negli stessi spazi, testimonianza della sua potenza ed energia oltre che della sua forte vocazione innovativa”.

Tre giorni di fiera spalmata su luoghi iconici della città come il Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, in cui 70 espositori, tra designer, aziende e artigiani internazionali hanno presentato i loro prodotti.
Tra i tanti, brand affermati come gli italiani Botteganove, De Castelli, Fabscarte, Forma&Cemento, MEDULUM, Scapin Collezioni, Hebanon Fratelli Basile – 1830. Il panorama internazionale è invece rappresentato da nomi come Milla Novo, Constance Guisset Studio, l'architetto Aline Asmar d’Amman in collaborazione con Laboratorio Morseletto.


Laboratorio Morseletto_Aline Asmar D'Amman - Culture in Architecture - The Memory of Stones - Memory I - Memory III - Memory II © Marco Zorzanello.

C’è, però, un’indubbia attenzione agli emergenti, che si concretizza in una fiera di settore con una sezione a loro dedicata, il Seminario. Una delle sale del Complesso si trasforma in un inedito loft animato dalle creazioni di designer under 30 e brand con meno di 3 anni di storia alle spalle — tra questi, Basis RhoDuilio Secondo StudioMirei MonticelliTom RobinsonSTUDIO RLON e molti altri. 

Sotto l’etichetta Made in EDIT, la fiera attiva invece, per l’edizione 2020, una collaborazione inedita con Sara Ricciardi e Simone Piva, che insieme hanno creato ORA, un’esclusiva collezione di oggetti dedicati a una diversa idea di wellness. 

Come è avvenuta in questo anno così complesso, l'organizzazione e lo sviluppo di una fiera fisica come EDIT Napoli? E quale sarà il futuro delle fiere di settore? Lo abbiamo chiesto direttamente alle fondatrici di EDIT, Emilia Petruccelli e Domitilla Dardi. 


EDIT Napoli 2020 - Domitilla Dardi ed Emilia Petruccelli al Refettorio. Ph. © Elio Rosato


1. In un periodo storico in cui facciamo quotidianamente i conti con videocall, esperienze virtuali e smart working, cosa vi ha spinto a non mollare la presa sull’organizzazione di una fiera ‘fisica’ che ha come protagonisti i concetti di ‘manualità’ e ‘artigianalità’? Non avete mai temuto una mancata soddisfazione delle aspettative per le aziende in termini di affluenza?  
Ci sono molti tipi di design, questo ormai è chiaro a noi operatori del settore, ma anche al pubblico. Il nostro è un perimetro molto chiaro, quello che abbiamo definito “design d’autore ed editoriale” basato sulla qualità dell’esecuzione e sull’idea del progetto, nonché sulla relazione che si genera tra ideatori ed esecutori del prodotto. Per questo motivo EDIT è un momento fondamentale di incontro perché, al di là del momento commerciale che si confà a qualunque manifestazione fieristica, è proprio nell’incontro fisico tra autori, pubblico e prodotti che si creano le connessioni, che sono il valore più peculiare di EDIT Napoli. Proprio per questo siamo sempre stati in contatto con i nostri espositori e le decisioni più importanti sull’andamento della manifestazione sono state prese spesso dialogando con loro. Quindi eravamo preparati alla scommessa e ci siamo resi conto che era importante creare la condizione per l’incontro fisico e reale, ma con la ferma consapevolezza che avremmo lavorato anche sul virtuale. Abbiamo affrontato ogni restrizione derivata dalle condizioni della pandemia con attenzione, ma non ci siamo lasciati sfuggire una grande occasione: quella di immaginare nuovi scenari del nostro lavoro, dove il reale e il virtuale si affiancheranno; ma solo a patto che il virtuale sia pensato per dare sostegno e non come sostituto dell’esperienza reale.

2. E le vostre aspettative sono state soddisfatte? Il risultato è stato quello sperato anche in termini di numeri e presenze?
Partivamo con molte poche aspettative, ma con la consapevolezza di avere il sostegno della comunità di EDIT Napoli. Mai come in questa occasione abbiamo potuto constatare che la nostra idea di formare un gruppo che lavora di concerto è davvero la forza di questo progetto. I numeri poi ci hanno dato ragione, abbiamo avuto un’affluenza insperata, ma i numeri sono relativi e non vogliamo crogiolarci su questo: troppe volte vediamo pubblicare lunghi elenchi di numeri che al massimo possono impressionare superficialmente, ma poi non portano a nulla. Quello che è davvero importante è il senso di collaborazione e responsabilità verso il lavoro di tutti. Non so in quante fiere accada di vedere espositori che postano i lavori gli uni degli altri, sostenendosi a vicenda. Non si tratta di buonismo: se tanti singoli riuniti funzionano, allora è tutto il gruppo a beneficiarne. 

3. Come avete gestito, in questo anno così complesso, l'organizzazione e le reti virtuali con espositori ed aziende durante il lockdown? E come siete riusciti a ritradurre tutto questo in presenza fisica? 
Parlando costantemente, tra noi del team e con loro. Tanti li conosciamo da tempo, altri sono state delle nuove conoscenze. La parte che ci piace di più è proprio quella di sviluppo dei progetti e poter dare un contributo in questo senso. Partecipare a EDIT per noi non vuol dire affittare uno spazio, ma iniziare un rapporto, uno scambio. Per questo siamo basati sulla selezione e saremo sempre una realtà contenuta, perché vogliamo mantenere viva questa possibilità di dialogo.

4. Oltre alla componente ‘fisica', che è stata mantenuta anche quest’anno, avete implementato anche l’offerta digitale. Quali sono le novità che avete introdotto in questa seconda edizione?
Già lo scorso anno avevamo realizzato un virtual tour al posto di un catalogo cartaceo. Ci sembrava uno strumento in grado di raccontare bene la realtà del nuovo editore contemporaneo, spesso artigiano ma abituato a lavorare con la tecnologia. Quella del virtuale si è così rivelata una scelta pionieristica e in questa edizione il nostro virtual tour è stato ulteriormente implementato. Così tutti possono accedere al nostro sito, viaggiare dentro EDIT vedendola in maniera realmente virtuale. Non si tratta di avere un sito digitale che richiama altri siti o immagini statiche: qui si può entrare e viaggiare tra gli espositori, vedere le immagini in 3D girandoci attorno, avere la reale percezione dei pezzi esposti e approfondire in business room dedicate per ciascun espositore con la possibilità di contattarli direttamente e fare ordini. Questi sono gli editori del terzo millennio, capaci di usare la tecnologia, oltre alle mani.

5. Quando si parla di design in Italia si pensa subito alla città di Milano. Voi invece avete scelto Napoli. Qual è il fil rouge che lega questa città alla filosofia di EDIT?
Questa è la domanda che ci viene rivolta, ma che poi quando si viene a Napoli trova spontaneamente risposta. Volevamo una capitale di un altro tipo di design, non quello seriale industriale – dove Milano è la regina indiscussa – né quello del collezionismo – dove regnano Basilea, Londra, Miami. Volevamo una capitale del mediterraneo, perché è qui che le culture si sono sempre incrociate e contaminate. A Napoli miseria e nobiltà vivono negli stessi spazi da sempre e questo è stato foriero di un’intelligenza creativa di cui l’intera città è testimonianza. Inoltre, qui il rapporto qualità-prezzo della vita è davvero unico e questo ha la sua importanza per chi affronta una settimana di lavoro – penso agli espositori – o il weekend della visita. Napoli poi è una città che ci accoglie a porte aperte: quest’anno abbiamo fatto gli EDIT Cult, progetti di cultura del progetto in luoghi d’eccellenza della cultura, ovvero il Teatro San Carlo, il Museo Archeologico Nazionale e il Museo Filangieri, tutte realtà straordinarie guidate da direttori che hanno capito che aprirsi al design d’autore avrebbe innescato un circolo virtuoso, e così infatti è stato.

6. EDIT pone l’accento sulla qualità progettuale e produttiva degli oggetti, ma anche sulla loro commerciabilità creando una rete di scambio tra buyer ed espositori con conseguenti opportunità di business. Come dialogano le tre diverse figure (designer, aziende, commercianti) all’interno di EDIT?
Da quest’anno espositori e buyer hanno la possibilità di dialogare anche attraverso le business room del nostro Virtual tour, all’interno delle quali si possono trovare riferimenti ai pezzi presentati ad EDIT e tutti i contatti diretti per iniziare un rapporto commerciale. Detto questo, spesso l’incontro umano vince su tutto: tanti dei nostri espositori si sono conosciuti fisicamente a Napoli a San Domenico Maggiore e poi hanno iniziato collaborazioni unendo le forze e a volte anche producendo gli uni i pezzi degli altri. 

7. Credete che questo ‘ritorno all’origine’ e all’’autentico’, innescato dalla pandemia in corso, stia avendo ripercussioni anche sul design? E come sta cambiando, secondo voi, la percezione del design da parte del cliente finale ma anche, parallelamente, il modo di ‘fare' design (penso alla scelta di materiali, forma e utilizzo degli oggetti..) e 'il modo di comunicarlo'?
Tanti nostri espositori si sono posti il problema della separazione degli ambienti e della multifunzionalità degli arredi. Non sono temi nuovi, ma oggi assumono un’importanza e un rilievo particolari. Detto questo, penso che il vero punto sia cosa significhi realmente un prodotto “sostenibile”. Secondo noi sostenibile è quel prodotto che è tracciabile nei passaggi della sua filiera, che è corta e trasparente. Ecco, il design editoriale, quello presentato a EDIT, risponde perfettamente a questa visione e, parlando con gli espositori, è chiaro che essi conoscono ogni singolo dettaglio dei materiali e delle maestranze coinvolte nella produzione. Questo va trasferito al pubblico, all’utente finale, perché sappia comprendere le ragioni di un prezzo finale, riconoscerlo come ragionevole e distinguere tra una serietà etica verso il prodotto e il green marketing di facciata che ripulisce le coscienze. Sta a tutti noi comunicare queste differenze in maniera corretta ed efficace. La comunicazione può (e in un certo senso, deve) fare molto in questo senso.

8. Parliamo del ruolo delle fiere. Nell’istanza post-pandemica credete che ci sarà un cambio di rotta?
In un certo senso lo speriamo. La foga di produzione, la rincorsa all’inedito ad ogni costo, non può essere il modello di un design credibile e consapevole. Vorremmo che l’offerta diminuisse, concentrandosi sulla qualità e che la domanda divenisse più consapevole. Questa situazione epocale potrebbe davvero essere l’occasione per rimettere a fuoco il senso del nostro campo e abbandonare ritmi che non ci appartengono, ma che abbiamo mutuato dal mondo della moda e dello spettacolo per ragioni di cieco consumismo. Ma non sarà facile, molti vorrebbero rassicurarsi tornando al prima, alle grandi dimensioni, alla quantità come parametro vincente. Personalmente ho più fiducia nel ricambio generazionale e vorrei che EDIT divenisse in tal senso un punto di riferimento per il lancio di giovani autori e giovani marchi (non in senso anagrafico, quest’anno abbiamo avuto molti esordi di professionisti navigati). Per noi vale il principio della selezione (non avremo mai migliaia di espositori), della curatela (cercheremo sempre la qualità) e della comunità (condividiamo la crescita delle collezioni). Per ora questo ci ha reso agili e pronti ad adattarci. Il nostro obiettivo è la resistenza alla difficoltà, ma non la resilienza: non vogliamo tornare al prima, vorremmo sondare nuove strade e mettere le relazioni umane e il lavoro al centro.

 


Made in EDIT - ORA collection by Sara Ricciardi and Simone Piva. Ph. © Marco Maria Zanin.


Made in EDIT - ORA collection by Sara Ricciardi and Simone Piva_Clessidra


Finemateria - Comfrot Uncomfort chair © courtesy of Finemateria.


Margherita Rui - Alfabeto for 950 ninefifty © Mattia Balsamini.


Botteganove ©Serena Eller Vainicher.


5B_21st Century Heraldry_Naples 2018 ©courtesy of 75B Rotterdam


Milla Novo - Ph. © Serena Eller Vainicher.


Duilio Secondo - Cabanon da viaggio © courtesy of Duilio Secondo Studio.


MYOP © Serena Eller Vainicher.


Victoria Episcopo © Serena Eller Vainicher

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