23/09/2014 - L'architettura disegnata da un segno sottile - bidimensionale, come su un foglio di carta – prende vita nello spazio e conserva i suoi esili tratti per creare superfici leggere, impalpabili, elementi evanescenti, dal minimo spessore, che creano forme al limite della percezione e un ambiente spazialmente etereo.
Sublime esempio ne è il progetto di Junya Ishigami, il KAIT kanagawa institute of technology, che rappresenta appieno quell'estetica ultrapiatta particolarmente riconoscibile nel linguaggio contemporaneo e minimale tipicamente giapponese: tutto è bianco, lo spazio è fluido ma ben definito; il risultato rivela una composizione estremamente elementare, pur non essendolo affatto.
Un edificio senza muri, una foresta di colonne dallo spessore talmente minimo da sembrare fragili: elementi esili, minimi, quasi anonimi, che trovano nella reiterazione apparentemente casuale un carattere distintivo e irripetibile; lo spazio creato si presta con semplicità e fluidità a molteplici configurazioni con differenti direzioni e densità.
“Volevo creare uno spazio che avesse confini poco chiari, in bilico tra lo spazio circoscritto e lo spazio complessivo, diversamente da come ha fatto Mies con lo 'spazio universale'. Ciò permette una nuova flessibilità di composizione, rivelando la realtà anziché plasmarla.” (J. Ishigami)
Fonte: Blink - blinkproject.it
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